Dopo i Talk di Milano 4 Mental Health è giunto il momento di confrontarsi a tu per tu con gli esperti, tra cui Elena Vegni, Psicologa, Psicoterapeuta e Direttrice dell’unità operativa di psicologia clinica ASST Santi Paolo e Carlo. È lei a raccontarci – a margine del talk “Professionisti della salute mentale: un valore di cui prendersi cura”, moderato dall’Assessore al Welfare e Salute Lamberto Bertolé – il rapporto tra le figure professionali, come quella degli psicologi e degli psicoterapeuti, ed il servizio sanitario pubblico, con tutti i cambiamenti che la recente pandemia ha generato nell’utenza. “Ad oggi – racconta Elena Vegni – dentro le strutture sociosanitarie è presente un numero incrementale di psicologi-psicoterapeuti, segno che c’è stato uno sforzo, soprattutto negli ultimi anni, di costituire, a livello regionale, un coordinamento delle unità operative di psicologia clinica. E ciò testimonia anche la presenza di un pensiero comune all’interno di un servizio pubblico: elemento, questo, che in passato non era così saliente. Inoltre, complice la pandemia, si è assistito ad un aumento del riconoscimento, anche socio-professionale, della figura dello psicologo-psicoterapeuta. Figura storicamente vissuta in funzione del professionista medico e che oggi, invece, lo vede accanto ad altre figure professionali, in primis ovviamente il medico, in un’azione di intervento, rispetto al paziente, che riconosce la specificità dell’atto di cura in capo allo psicologo-psicoterapeuta.” Una piccola rivoluzione copernicana che racconta un mondo, quello della cura della salute mentale nel settore pubblico, che risponde anche a un’evoluzione della complessità dell’utenza d’oggi. “Lo psicologo clinico, infatti, – prosegue Vegni – non lavora più soltanto nell’ambito della salute mentale tout court, ma se ne occupa a 360°, seguendo anche quei pazienti che non accedono al servizio sanitario per un problema di salute mentale, ma che ne sviluppano uno a seguito di un’altra patologia di natura organica, come può essere nel caso dei pazienti oncologici.” Tuttavia, questi dati sulla crescente domanda di richiesta di un aiuto di natura psico-emotiva si scontrano con una realtà paradossale. Se infatti il numero degli psicologi sul territorio italiano è stimato intorno ai 120.000 professionisti (quindi circa 3 ogni 1.500 abitanti), l’accesso alla cura del benessere mentale resta per lo più in mano ai privati, con un settore pubblico che raggiunge un rapporto di circa 1 ogni 50.000 abitanti (quando il risultato ottimale dovrebbe essere 1 ogni 1.500). Ciò significa che da un lato, quello del settore privato, c’è una forte presenza di professionisti della salute mentale, mentre nel pubblico questi mancano e i fondi non sono oggi sufficienti a convenzionare una quota significativa di psicologi e psicoterapeuti che svolgono la libera professione. Da questi dati emergono una serie di riflessioni sulla figura dello psicologo e il suo percorso professionale. “Innanzitutto – prosegue Vegni – quella dello psicologo è diventata una professione sanitaria – a parimerito e per riconoscimento rispetto alle altre – solo da pochissimo tempo. Ciò vuol dire che rispetto a quello che è stato fatto in altri contesti, come ad esempio per quello del medico dove c’è stata una programmazione (per quanto oggi fallace), per lo psicologo non è avvenuto. Quindi oggi ci ritroviamo con una professione che si è sì trasformata dal punto di vista della legiferazione circa l’esercizio stesso della professione, e che quindi viene sempre di più ricercata all’interno delle strutture della sanità pubblica, ma che di fatto fino a poco tempo fa non era in programmazione. Ragion per cui il professionista psicologo-psicoterapeuta, nella nostra tradizione italiana, trova uno sbocco professionale naturale molto di più nel settore privato rispetto a quello pubblico; anche se oggi le cose stanno fortunatamente cambiando. L’esistenza di coordinamento tra gli psicologi presenti ei sistemi di cura ella salute fa la differenza rispetto all’importanza e all’impatto della professione all’interno dei servizi pubblici. A livello universitario di formazione di III livello, delle scuole di specializzazione per intenderci, ci sono stati anni di contrazione e chiusura delle scuole per ragioni normative, tornando a crescere solo negli ultimi anni. Una scuola pubblica forma oggi un professionista che è particolarmente adatto a quel tipo di contesto pubblico. D’altronde in questo contesto di servizi dobbiamo avere una forte capacità di intercettare e di intervenire sui disagi con un modello d’intervento molto diversificato.” Ed a proposito di disagi, si parla molto di giovani e dei numeri che li riguardano, da quelli sull’assunzione autonoma di psicofarmaci e sull’uso di alcol quali strumenti per regolare l’umore, all’uso della cannabis con percentuali di THC di gran lunga superiori a quelle di 30 anni fa. Sui giovani, inoltre, il problema è la presa in carico e cura durante tutto il percorso di riequilibrio psico-emotivo, che spesso si scontra con la mancanza di risorse e quindi il trincerarsi del professionista della salute mentale nel proprio perimetro di competenza, creando così aree scoperte. Su questo fronte il Comune di Milano ha avviato il progetto AccogliMi, rivolto ai ragazzi e ai loro genitori, e sempre ai giovani è rivolta l’attenzione dell’opinione pubblica. Proprio su questo tema, come sul quello della salute mentale, la politica gioca un ruolo fondamentale, ma in che modo? “Sicuramente è importante – prosegue Vegni – sollecitare l’opinione pubblica affinché pensi che un problema di malessere, rispetto alla propria salute mentale, non sia qualcosa di cui vergognarsi. Ad oggi, infatti, persiste una sorta di vergogna a rivolgersi ai professionisti della salute mentale come se fosse una debolezza sentirsi in difficoltà o solo una questione di scarsa volontà venirne fuori. Le iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sono quindi essenziali. Si parla di stigma, una parola forse sin troppo abusata: ci sarebbe il bisogno di legittimare il fatto che nella vita le persone possano non star bene dal punto di vista del proprio benessere psico-emotivo e che su questa tematica possa essere richiesto l’intervento di un professionista, come lo psicologo e psicoterapeuta. Quando parliamo di adolescenti e dei loro problemi, invece, dall’intercettazione del disagio al problema delle dipendenze, dobbiamo sempre avere in mente che l’adolescente rappresenta una risorsa. Il rischio infatti è che parlando di questa fase dello sviluppo solo in chiave problematica, benché il Covid abbia acutizzato e fatto emergere molti disagi proprio tra i giovani, si veda solo ciò che non funziona, mentre in realtà i giovani sono il nostro futuro.”
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